BUONI FRUTTIFERI POSTALI: come ottenere gli interessi concordati

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Buoni fruttiferi postali come ottenere i giusti interessi!(1)

BUONI FRUTTIFERI POSTALI: come ottenere gli interessi concordati

Oggi parliamo di come incassare gli interessi pattuiti nei buoni fruttiferi postali.

Troppo spesso sentiamo parlare di gente che sta litigando per i buoni fruttiferi postali. I titolari dei buoni si recano nel proprio ufficio postale di riferimento e chiedono al funzionario con cui parlano sempre, di poter incassare il denaro.

Quando la somma che spetta loro gli viene comunicata, spesso scoprono che ci sono delle incongruenze: la posta vuole dare meno denaro di quanto loro si aspettavano. Il motivo? Dicono che così fosse è pattuito in contratto.

I buoni fruttiferi postali sono uno degli strumenti più utilizzati nella storia dagli italiani per accumulare il denaro e reinvestirlo. Fungono, in pratica, da salvadanaio: viene depositato del denaro, viene calcolato un interesse e le somme così definite e composte da capitale e

Interessi, vengono restituiti al sottoscrittore (investitore) quando termina il contratto.

I buoni fruttiferi postali moderni sono in realtà un contratto complesso: viene dato il contratto e insieme viene fornita una dose massiccia di informazioni precontrattuali relative in linea con la vigente normativa.

I vecchi buoni postali fruttiferi, invece, erano dei documenti molto più semplici: davanti c’era l’importo, ad esempio 2 milioni di lire, e dietro – semplicemente come se fosse un memorandum – i rendimenti che avrebbe avuto quel capitale.

Quale problema c’è quindi su qualche serie di Buoni fruttiferi postali?

Esistono dei contratti in giro per l’Italia con dei tassi di interesse legittimi per l’investitore ed esiste una posizione delle poste chi dice che quei tassi d’interesse non sono validi, ma sono validi altri tassi, che ovviamente risultano più bassi.

Le Poste in automatico riconoscono, quale interesse, l’ammontare di denaro che risulta dall’applicazione dei tassi “diminuiti”, mentre ovviamente l’investitore vorrebbe vedere applicati al proprio investimento i tassi nella misura che ha pattuito.

Se è tutto apparentemente così semplice, cioè se il buono postale reca su di se tutte le informazioni (da un lato dice qual è il su valore e dall’altro qual è il suo rendimento), come mai è in atto questo contenzioso con le Poste sul valore dei buoni stessi?

La risposta a questa domanda affonda le radici nel lontano 1986, per la precisione il 13 giugno 1986: in base a una norma del 1973 le poste avevano diritto di modificare i tassi d’interesse riconosciuti sui i buoni fruttiferi postali tramite lo strumento del decreto ministeriale. Il 13 giugno del 1986 avviene esattamente questo: vengono modificati i tassi applicati ai buoni fruttiferi postali emessi da quel momento.

Da quel momento in avanti l’effetto generato è l’immediata diminuzione dei tassi rispetto al passato, tassi che diventano meno competitivi.

La modifica dei tassi di interesse genera una scelta operativa un po’ maccheronica.

Invece di modificare i buoni fruttiferi secondo la nuova normativa (con i tassi diminuiti) preparano un timbro da porre sul contratto. Se arriva un cliente nuovo che chiede l’emissione di un buono postale la Posta propone il vecchio modello di contratto che reca i tassi al valore precedente alla modifica del 1986 e appone semplicemente il timbro che segnala che i tassi validi per il buono emesso non sono quelli effettivamente scritti sul buono, ma altri.

Peccato che i tassi di interesse stabiliti con l’apposizione del timbro riguardano solo i primi 20 dei 30 anni di validità dei buoni fruttiferi postali trentennali.

Quindi di colpo si crea uno scenario incredibile: su questi buoni i tassi mutati secondo quanto stabilito dal decreto ministeriale del 1986 valgono però solo per i primi 20 anni e quindi l’investitore avrà diritto dal ventunesimo al trentesimo a che vengano riapplicati i tassi di interesse precedentemente concordati.

Si genera poi un altro effetto giuridico: i tassi sono stati ridotti anche a tutti i sottoscrittori di buoni fruttiferi emessi prima della modifica ministeriale. Quindi, di colpo, un investitore che avesse comprato dei buoni fruttiferi postali prima del giugno del 1986 e che aveva quindi un contratto con tassi che avrebbero garantito un certo rendimento, si vede decurtare quei guadagni futuri anche se il buono fruttifero a sue mani non reca modificazioni in tal senso.

 

Esistono a questo punto due livelli di soluzioni.

La più efficace e migliore riguarda tutti i buoni fruttiferi postali venduti dopo il 1986 (quelli con il timbro): in questo caso abbiamo la fortuna che l’ABF, l’arbitro bancario e finanziario ha riconosciuto in maniera praticamente granitica la responsabilità delle poste che dovranno quindi riconoscere i tassi di interesse nella misura riportata sui buoni.

L’ABF permette in questo senso di avvalersi di una procedura snella e semplificata.

Il secondo livello riguarda tutti i buoni fruttiferi postali anche quelli emessi prima del 1986 ed è la tutela legale. Ovviamente in questo caso si può fare richiesta di ottenere l’applicazione dei tassi di interesse scritti sul buono, ma in questo caso la procedura sarà più lunga e molto più complessa perché bisognerà avvalersi degli strumenti di giustizia ordinaria.

Pertanto se avete incassato o state per incassare somme relative a buoni fruttiferi postali trentennali vi consigliamo di andare a verificare attentamente che documento avete in mano e soprattutto, in base a quale tasso vengono calcolati gli interessi e la conseguente somma che vi spetta a titolo di rendimento del buono.

 

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